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Il nostro piccolo contributo per ricordare un evento, ovvero, una serie di eventi accaduti a Roma per i primi trapianti di rene in Italia. |
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Intervista al professor Casciani del 2014 tratto da "Un’altra vita – storie di trapiantati" |
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Supplemento al TI INFORMO ... settembre ottobre 2011,in occasione dei 50 anni dalla prima dialisi a Roma e 45 anni dal primo trapianto di rene |
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Il 19 ottobre 2011 a Roma presso l’Aula Magna del CNR si sono rievocati i 50 anni dalla prima dialisi e 45 dal primo trapianto in Italia, manifestazione organizzata dall’Agenzia Regionale Trapianti Lazio (ARTL), diretta dal Professor Carlo Umberto Casciani, che all’epoca era tra i medici che realizzarono l’impresa. Il 24 ottobre scorso, abbiamo incontrato il Professor Casciani 79 anni, nel suo piccolo studio presso l’ARTL, per approfondire, per quanto possibile, quegli anni pioneristici della cura dell’insufficienza renale cronica. Uno studio semplice, una scrivania piena di documenti l’arredo più importante sono le foto storiche alle spalle, tappe della vita professionale. Gabriella Valente, segretaria del professore da tanti anni ci mette subito a nostro agio con il caffè. Professore quando è iniziato il suo interesse per i trapianti? L’incontro con i trapianti fu negli anni 60, il primo trapianto di rene era avvenuto negli Stati Uniti nel 1954 ad opera del professor John Merrill, quando li incontrai fu un innamoramento a prima vista, mi fecero cambiare specializzazione. Del resto il mio sogno era quello di fare il cardiochirurgo, mi ero specializzato in cardiologia per prepararmi, ma cambiai strada e da allora mi sono interessato esclusivamente di trapianti. Poi venne l’incontro con il Professor Paride Stefanini e il Professor Raffaello Cortesini, con cui si stabilì immediatamente una sincera amicizia. La preparazione per i primi trapianti, possiamo immaginare fu lunga e laboriosa?
Iniziò nel 1961, presso la seconda clinica chirurgica dell'Università La Sapienza di Roma, furono 5 anni di preparazione intensi e non privi di difficoltà, ma pieni di entusiasmo, coscienti che si apriva un nuovo capitolo della medicina e chirurgia. Furono anni di studio e di esperimenti di laboratorio, dall’immunologia alla tecnica chirurgica, dal prelievo alla conservazione del rene da trapiantare. Mettemmo a punto un liquido per la conservazione e il lavaggio dell’organo. Quando il 3 maggio 1966 effettuammo con il Professor Stefanini e con il Professor Cortesini il primo trapianto clinico in Italia, terzo in Europa, dopo Francia ed Inghilterra, questa coscienza di aver offerto al malato una nuova terapia non alternativa per la vita e la qualità della vita si rafforzò e aumentò l’entusiasmo. Un aepisodio che vorrei ricordare è la coscienza di alta professionalità del professor Stefanini, che per un mese sentì il bisogno di venire con me e Cortesini alla sala incisoria dell’ospedale San Giovanni alle 6 del mattino, domeniche comprese, per ripetere la tecnica chirurgica del trapianto di rene su cadavere, focalizzando in particolare le anomalie vascolari delle arterie e vene renali. "All'epoca - ricorda Casciani - mancavano perfino i corrispondenti italiani di termini scientifici come 'transplantation' e 'dialysis'. Nel 1961 inizia la preparazione al trapianto con la dialisi?
Sono passati 50 anni dall’ottobre 1961 in cui venne effettuata la prima dialisi nell’uremico cronico. Per la dialisi peritoneale noi seguivamo la tecnica di Maxwell, cioè mettere due litri di una soluzione elettroliticamente bilanciata e tenerla due ore nel peritoneo del malato, poi ripetere per 6 volte al giorno la stessa operazione. Chi ha reso possibile l’emodialisi nell’uremico cronico, molto diversa da quella applicata nell’uremico acuto sono stati due scienziati: Willem Johan Kolff e Belding Hibbard Scribner. Il primo mise appunto negli anni 40 un apparecchio che non usava il tamburo rotante, ma che usava un filtro a rocchetto attraverso cui veniva spinta da una pompa un liquido osmoticamente attivo che lavava il sangue per osmosi. Il secondo negli anni 50 mise a punto un accesso vascolare in teflon e dacron, lo Schant, i malati da vecchia data ricorderanno sicuramente, che rendeva possibile derivare il sangue arterioso, lavarlo e rimetterlo attraverso una vena nell’organismo, e quindi rendeva possibile ripetere l’emodialisi più volte alla settimana. Furono raggiunti risultati importanti, nella dialisi nell’uremico cronico, che venne da noi chirurghi approntata esclusivamente per preparare il malato uremico all’intervento di trapianto. Si legge che la nefrologia medica di allora non la prese bene l’introduzione della dialisi?
Dobbiamo ringraziare la fiducia del Professor Stefanini perché la nefrologia italiana ufficiale fu contro la dialisi nei suoi vertici e solo grazie alla protezione del Professor Stefanini noi potemmo passare dalla dialisi al trapianto di rene. Racconto un episodio esemplare. In un convegno portai la prima casistica dell’emodialisi nell’uremico cronico, con la sopravvivenza di un anno del 40%. Un vecchio nefrologo universitario attaccò questi risultati dicendo che lui aveva una sopravvivenza degli uremici ad un anno, del 65% con la sola dieta, io gli risposi che il mio 40% era la sopravvivenza dei malati strappati alla morte sul suo 35%. Naturalmente arrivarono molti malati uremici cronici non mandati dai nefrologi, ma spinti dalle informazioni ricevute dai giornali. Non volevo fare selezioni alla sopravvivenza, fummo costretti ad aumentare gli apparecchi dialitici, così creammo al Policlinico Umberto I il primo centro dialisi per cronici in Italia con 15 reni. All’epoca io preparavo il bagno di dialisi nell’apparecchiatura in uso il Kolff personalmente in base ai risultati del malato uremico che venivano dal laboratorio. Il primo trapianto di rene del 3 maggio 1966, pensiamo che lo ricorda benissimo? Fu effettuato su una ragazza romana di 17 anni, che visse un anno con il nuovo rene. Il sistema di conservazione dell’organo prelevato, che avevamo messo a punto ci fu molto utile poiché il rene fu prelevato ad una signora abruzzese all’ospedale dell’Aquila con la collaborazione dell’allora primario chirurgo Professor Fichera, e fu trasportato a Roma dopo il lavaggio e raffreddamento in un contenitore da picnic. Nel 1966 non esisteva l’autostrada Roma L’Aquila, percorremmo quindi la 17 bis dell’Appennino e la Salaria con una pantera della Polizia in 2 ore e mezza, normalmente si impiegava un minimo di 3 ore e 40 minuti. Grazie alla dialisi che avevamo messo a punto l’intervento chirurgico di trapianto renale fu effettuato su un soggetto disintossicato diminuendo di molto i rischi operatori e anestesiologici. Anche il lavoro effettuato nella sala incisoria dell’ospedale San Giovanni ci fu utile, e infatti in quel primo trapianto trovammo un’anomalia vascolare. Voglio ricordare una per tutti i collaboratori di quei giorni, la Capo Sala Maria Nobile. Una settimana dopo i vostri studi vi portarono al primo xenotrapianto effettuato in Italia? Si il 10 maggio 1966 fu effettuato lo xenotrapianto. Infatti presso la seconda clinica chirurgica del Policlinico, venne realizzato uno stabulario per l'attività di trapianto sperimentale. Furono realizzati trapianti di organo tra animali di varie specie. Venne anche sviluppato un programma di xenotrapianto. Il donatore era uno scimpanzé di 20 anni, che chiamammo Peppone, voglio sottolineare che l’animale non fu sacrificato, ma procedemmo al prelievo del rene, e Peppone continuò la sua vita. Il ricevente un ragazzo sardo di 20 anni visse 40 giorni, morì per una complicazione dovuta ai farmaci. Il programma fu subito interrotto per gli alti costi per il mantenimento degli animali.
Professore, Lei non fa mai i nomi dei malati assistiti. Il nome del giovane sardo è stato, riportato dai giornali dell’epoca, insieme alle foto di Peppone, noi lo vogliamo ricordare questo ragazzo coraggioso, si chiamava Antonio Farina.
L’anno successivo fu effettuato il primo trapianto tra viventi?
Effettuammo a Roma nel 1967, il primo trapianto tra viventi, erano due sorelle, dopo l’approvazione della legge che consentiva in Italia questo tipo di interventi. Molto altro ci potrebbe raccontare di quegli anni, quale è la sua maggiore soddisfazione? La maggiore soddisfazione è stato l’aver assistito all’esplosione di questi settori della medicina, cioè la dialisi e i trapianti, tanto che oggi esistono cattedre universitarie e primariati ospedalieri dei trapianti e della dialisi, ma soprattutto avere coscienza che queste due iniziative hanno ridato vita e qualità di vita a migliaia di persone malate che ormai non avevano altre terapie alternative. Domenica scorsa si è celebrata la XIV giornata europea per la donazione degli organi, ancora oggi ogni giorno in Europa muoiono 12 persone in attesa di un trapianto, quale futuro vede? In Europa vi sono 56 mila persone che aspettano un organo, con i trapianti da donatore, sia cadavere che vivente, saremo sempre in rosso e per lo xenotrapianto ci sono ancora grandi problemi da risolvere. Il futuro che io vedo e per il quale sono fortemente impegnato è nelle cellule staminali, molti studi danno risultati e la storia della medicina ci insegna che a volte le previsioni vengono stravolte e accelerate da avvenimenti improvvisi, quindi confido molto in questi studi. Si ma per il presente? Nel comunicato stampa della giornata europea dei giorni scorsi, l’Italia è stata “bacchettata” dal il dottor Rafael Matesanz, direttore del Organizzazione spagnola per i trapianti (Ont) - che ha realizzato il rapporto sullo stato dei trapianti in Europa “L'Italia potrebbe fare molto meglio di quanto fa finora se tutte le regioni fossero in grado di riorganizzare il sistema, come è già stato fatto in Toscana. Inoltre, le regioni dovrebbero migliorare le procedure per ottenere il consenso delle famiglie all'espianto”. Facciamo tutti il possibile, citando la Toscana, come regione virtuosa, il Lazio è stato posto tra le regioni da riorganizzare, io come commissario dell’Agenzia Regionale Trapianti, insisto molto con la presidenza e i politici regionali, per far loro capire che i soldi per i trapianti sono un investimento che produce risparmio, nello specifico dei trapianti di rene si esce dalla dialisi, così come gli investimenti per gli alimenti aproteici allontanano la dialisi. Così come occorre continuamente migliorare la preparazione dei medici che richiedono ai familiari del deceduto la conferma del consenso alla donazione, o ancora in molti casi il consenso, anche i medici coordinatori locali dei trapianti devono avere un vero riconoscimento esonerandoli totalmente dal loro lavoro di provenienza. Ringraziamo il Professore per le circa 2 ore che ci ha dedicato. Roberto Costanzi Supplemento al TI INFORMO ... settembre ottobre 2011
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