In missione con il 31° stormo "Carmelo Raiti"


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Pubblicata su TI INFORMO novembre dicembre 2004

 

L'intervista

 

L'articolo

 

Il 31° Stormo "Carmelo Raiti" dell’Aeronautica Militare e l’impegno in missioni di solidarietà.

 A Ciampino, alle porte di Roma, c’è un “piccolo villaggio di 800 persone”, (così ce l’ha descritto uno dei piloti), che costituisce un intero reparto di volo dell’Aeronautica Militare. Si tratta del 31mo Stormo. Oltre ad occuparsi del trasporto di Stato, sempre più spesso, svolge un compito di grande importanza sociale. Vediamo come attraverso l’intervista che abbiamo realizzato con il Comandante dell’Aeroporto di Ciampino, Tenente Colonnello Giuseppe Coco.

Il Colonnello Coco ed il Capitano Delogu con  la bandiera di guerra del 31° stormo

 

Il 31° Stormo e l’impegno in missioni di solidarietà. Può descriverci, anche per chi non ne fosse a conoscenza, in che modo si realizza questo rapporto?

L’attività di soccorso è un’attività istituzionale per il nostro Stormo, ma è anche un’attività di concorso per l’Aeronautica Militare, in particolare, e per le Forze Armate, in generale. Si può far riferimento al Decreto 464/99, nel quale sono elencate le attività che la Difesa effettua di supporto alla protezione civile, per la tutela dell’ambiente e d’aiuto alla popolazione. La flotta che utilizza il nostro Stormo è di proprietà dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e, oltre ad essere usata per il trasporto di Stato, viene anche messa a disposizione dei cittadini, in caso di necessità.

 

 Quante delle ore di volo effettuate sono dedicate al trasporto sanitario urgente?

Mediamente, negli ultimi anni, per tutte quante le attività, effettuiamo circa 9000 ore di volo. Di queste, circa 1500/1700, sono dedicate al soccorso, per persone in imminente pericolo di vita, per attività di trapianto e trasporto organi, ecc.. Non si tratta di un limite, noi rispondiamo a tutte le richieste: se ce ne arrivassero in numero maggiore, noi faremmo più ore di volo.

 

Questo tipo di impegno ha comportato modifiche nella vostra struttura, nell’organizzazione, nell’addestramento dei piloti?

Nel corso degli anni ci sono state varie evoluzioni del reparto e, ovviamente, anche del modo in cui si svolge l’attività di soccorso. Tanti anni fa (circa 15) per le attività di questo tipo c’era un velivolo soltanto ed un solo equipaggio e, una volta esaurite le ore di volo umanamente sopportabili dai piloti, cessava la possibilità di avere questo servizio. Oggi, invece, siamo in grado di assicurare una copertura di tutte le 24 ore.

 

In che modo venite allertati? Di quanto tempo avete bisogno per essere operativi?

Veniamo allertati dalla nostra sala situazioni dello Stato Maggiore dell’Aeronautica, III reparto, che ne riceve richiesta da ospedali e Prefetture. Il coordinamento è molto breve, si realizza in pochi minuti. Assicuriamo il volo entro le due ore; mediamente anche prima, un’ora, un’ora e mezzo. Due equipaggi coprono tutto l’arco delle 24 ore, costantemente disponibili di giorno e di notte.

 

Può farci una casistica dei tipi d’intervento che effettuate?

Sono i più disparati: può trattarsi di persone in imminente pericolo di vita, incidenti particolari, persone che necessitano di un trapianto, o di équipe mediche che si debbano spostare per andare a prendere un organo, o che vadano, con l’organo, in ospedale per fare il trapianto ecc. Abbiamo fatto, ad esempio, soccorsi per trapianti di fegato da qui a Philadelphia. Operiamo, spesso, anche per italiani che si trovano all’estero e che abbiano bisogno di cure. Andiamo anche molto lontano, in quasi tutto il mondo, non si tratta di casi molto frequenti, ma possono capitare. Abbiamo fatto anche, in passato, durante gli incendi in Sardegna, trasporti di persone gravemente ustionate, negli ospedali specializzati per le ustioni. Tutto quello che ci chiedono di fare, noi lo facciamo.

 

Per quanto riguarda il trasporto delle persone che devono ricevere degli organi, ci sono delle difficoltà cui, più frequentemente, vi capita di far fronte?

Le difficoltà si manifestano tutti i giorni. Trattandosi, infatti, di un’attività operativa non si sa mai quello che può capitare. Vi possono essere difficoltà sulla certificazione. Infatti, per salire sull'aereo, le persone devono essere in possesso di un certificato di trasportabilità e di un altro che attesti che non si abbiano malattie contagiose. Altre difficoltà si possono riscontrare nei tempi di coordinamento (ad esempio con l’ambulanza che porta il paziente). Ma tutto questo è comprensibile visti i tempi ristrettissimi in cui tutto avviene. Da parte nostra c’è sempre la massima disponibilità: i nostri equipaggi sono abituati ad affrontare questi problemi, sono sempre in contatto con la nostra sala operativa che, a sua volta, si rivolge agli enti competenti. Diciamo che, generalmente, a tutto si riesce a dare una soluzione.

 

La ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato…

Beh, secondo me è essenziale che le Forze Armate informino i cittadini di tutte le attività svolte si è portati a credere che le Forze Armate servano solo a fare la guerra, non è così. Le Forze armate, prima di tutto, servono ad evitare la guerra; quindi, nella loro organizzazione ben strutturata, sono al servizio del cittadino per il mantenimento dell’ordine pubblico, per la protezione civile, per la tutela dell’ambiente ed in caso di calamità”.

 

 Conversazione con un pilota

Ecco cosa ci ha raccontato il Capitano Pier Nicola Delogu, pilota.

Facciamo circa 400 trasporti sanitari l’anno che vuol dire più di uno ogni giorno. Se considerassimo un lasso di tempo che va dalle 8.00 di questa mattina alle 8.00 di domani mattina, capiterebbe sicuramente un trasporto. Può succedere tra dieci minuti, tra un’ora, tra due ore statisticamente succede 1,2 volte al giorno. Se vi capitasse di imbattervi in una situazione del genere vi trovereste di fronte a tanta gente che sta zitta, ma che si capisce al volo e và. D’altra parte è veramente difficile, seduti, qui, con le statistiche e i numeri, che a volte sono abbastanza freddi, riuscire a capire veramente qual è il nostro lavoro, l’impegno e la motivazione che ci mettiamo nel fare questi tipi di trasporto. Sono le singole vicende che possono spiegare più di tutto. Ad esempio, mi ricordo che, durante il periodo dell’evacuazione dei bambini ammalati di Tirana, in Albania, un cardiochirurgo dell’Ospedale Bambino Gesù, si è recato sul posto, è stato lì 15 giorni ed ha individuato i casi più disperati ed urgenti. Abbiamo caricato i bambini su un DC9 e siamo arrivati a Ciampino nel cuore della notte. Da qui sono stati condotti in ospedale ed operati al cuore. La cosa più bella è stata rivederli dopo 20/25 giorni tutti insieme, tutti avevano le piccole ferite dell’intervento, tutti stavano bene, in braccio alle mamme, così abbiamo potuto ricondurli in Albania. Ed ancora, un mese e mezzo fa sono stato in Tailandia, e ho riportato indietro un nostro connazionale, affetto da una grave emorragia. Era stato il Ministero degli Affari Esteri ad intervenire, in questo caso. L’abbiamo portato all’Ospedale di Torino. Sono rimasto in contatto con i medici fino alla settimana scorsa. Il Paziente sta bene, ricomincia a star bene. Un pilota qui, vive alla giornata. Io posso andare in volo alle 14.00. Il mio rientro potrebbe essere previsto per le 16.00, però, se capitasse, nel frattempo, un trasporto sanitario urgente, potrei anche essere dirottato in volo, e recarmi ovunque fosse necessario. Spesso ci sentiamo dire “ a mezzanotte l’organo scade, quanto tempo vi ci vuole per recarvi – che so – a Parigi?”. A quel punto non fai altro che sbrigarti, “butti” tutta la gente dentro il velivolo, ci si conta e si parte. Abbiamo la precedenza sul traffico civile decolliamo per primi, atterriamo per primi. Non si tratta solo di un lavoro. E’ un qualcosa che ti porti sempre dietro, quotidianamente. Anche se non sei in servizio, anche se non sei di “pronto impiego”: sei consapevole di poter essere chiamato in qualsiasi momento ed in qualsiasi situazione. Tieni il telefono costantemente acceso, in qualunque posto ti trovi devi preoccuparti di sapere come puoi, velocemente, andartene e raggiungere l’aeroporto, se necessario. La tua professionalità può fare la differenza qui nessuno è indispensabile, te lo dicono subito, dal primo giorno in cui si entra in Aeronautica, però, sicuramente, tutti possono essere, in alcuni momenti, molto utili, in altri, quasi vitali.

 

Il Falcon 50 ed il Falcon 900 sullo sfondo in dotazione al 31° Stormo pronti al decollo sulla pista dell'Aeroporto di Ciampino

 

Il Capitano Delogu, Marilina M. Lanzetta, Roberto Costanzi

 

   

L’aereo avevamo avuto modo di osservarlo sia dall’esterno (immobile e inanimato, adagiato in posizione di riposo sulla pista). Poi all’interno, con tutti gli strumenti spenti e gli ambienti vuoti. Adesso, però, è diverso. Ci stiamo salendo come passeggeri e il velivolo ha ripreso vita, trasformato dall’attività meticolosa e ben coordinata dell’equipaggio che si appresta a farlo decollare. Ognuno ha il suo compito da svolgere e bisogna farlo in fretta: a Pescara, a pochi minuti di volo - pochi solo per un Falcon 50 dell’Aeronautica Militare che è in grado di volare in condizioni impossibili e di atterrare in posti impensabili -, c’è il Signor Giovanni (lo chiameremo così) che aspetta d’essere trasportato a Bologna, all’Ospedale Sant’Orsola.  La richiesta è arrivata alla sala operativa del 31mo Stormo di Ciampino, intorno alle 13.10.

 

La sala operativa del 31° stormo all'Aeroporto di Ciampino

 

Dalla sala situazioni del III Reparto dello Stato Maggiore chiedono i tempi per realizzare un trasporto sanitario urgente: si tratta di far arrivare un paziente da Pescara a Bologna, dove dovrà essere sottoposto ad un trapianto di polmone. Di turno a quell’ora ci sono due sottufficiali, Giovanni Battista Chessa e Maurizio Mauriello, ed un ufficiale, il capitano Pier Luigi Ricca. Ogni turno dura 24 ore, perché - mi spiegano - è il tempo minimo per assicurare una continuità nella acquisizione delle informazioni e nel coordinamento dell’attività delle missioni di volo. “La prima cosa da fare è contattare l’equipaggio, reperibile telefonicamente, comunicandogli l’esigenza e gli orari di partenza;” mi dice Chessa, “abbiamo a disposizione, 24 ore su 24, due equipaggi pronti al decollo in due ore dalla nostra chiamata, provenienti dal 306mo e dal 93mo Gruppo Volo, per un “primo pronto impiego”, e, se richiesto dalla missione da svolgere, per un “secondo pronto impiego”. Inoltre, durante il normale orario di servizio, cha va dalle 08.00 alle 16.30, spesso, c’è la possibilità di reperire un equipaggio in aeroporto che, allertato, può essere in volo entro un’ora”.

Circostanza fortunata per Giovanni, dunque.

A casa sua, che si trova in un paese vicino Teramo, dopo la telefonata che hanno ricevuto dall’Ospedale di Bologna c’è grande agitazione. Lui - me lo dice dopo, mentre voliamo insieme verso Nord - aveva appena finito di mangiare e voleva uscire di casa per la consueta passeggiata. “Non mi sentivo bene, però … ”, “Si vede”, lo interrompe il figlio, che lo accompagna “si vede da quelle macchie rosse che gli coprono il viso … noi conosciamo molto bene le sue reazioni e l’abbiamo visto in situazioni veramente critiche, qualche volta al limite della sopravvivenza”.

Torniamo indietro, alla sala operativa. A Ciampino, Chessa ha ricevuto l’ok dal 93mo Gruppo, che gli ha comunicato l’orario del decollo: 14.20. Informa il suo referente presso il III Reparto, poche, semplici parole “… comandante, è Chessa. Decollo alle 14.20, arrivo a Pescara alle 15.00, partenza da Pescara 15.30, Bologna si raggiunge 40 minuti dopo”. Queste informazioni il III Reparto le dirotta alla Prefettura, che, a sua volta, le gira all’Ospedale. Se i tempi del viaggio vengono valutati compatibili con quelli dell’intervento, si procede a ritroso e l’ultimo a ricevere la conferma è il 31mo Stormo. E la conferma arriva, insieme al fax, che l’Ospedale aveva inoltrato per richiedere il trasporto urgente. Vengono inseriti nel computer i dati del paziente: è un uomo di 64 anni, che deve ricevere un trapianto di polmone, non è trasportato in barella, non ha malattie contagiose, lo accompagna il figlio. Queste sono le prime cose che so di Giovanni.

 

Inizia la missione si parte dall'Aeroporto di Ciampino

 

Ci allontaniamo dalla sala mentre Chessa e Mauriello si apprestano a chiamare gli aeroporti, a preparare l’ordine di missione, ad organizzare il personale che sarà coinvolto, a coordinare i rifornimenti di carburante, nel caso fossero necessari.

Immagino che Giovanni, a quest’ora – sono le 13.40 circa – sarà in piedi, davanti alla porta di casa ad aspettare l’ambulanza che lo deve portare all’aeroporto. Forse no, però, le sue condizioni di salute non glielo permetterebbero. Giovanni ha un enfisema polmonare cronico che non gli consente di respirare normalmente; deve usare la bombola d’ossigeno. Una, più grande, ce l’ha a casa, l’altra, più piccola, gli serve quando si sposta. A casa ha pure un ventilatore meccanico, da usare nei momenti di forte di crisi respiratoria. Negli ultimi tre anni la vita di Giovanni è diventata sempre più difficile, la malattia è progredita e lui fa fatica anche a percorrere pochi metri o a fare poche rampe di scale. Quando ci incontriamo, sull'aereo, e gli chiedo se sia preoccupato per l’intervento, lui mi risponde, con tranquillità “Non più di tanto, perché io, così, non ce la faccio più, si soffre troppo. Mi hanno spiegato i rischi che ci sono, ma, a prescindere da tutto, io sono per il trapianto”.

Prima di sapere tutto questo, noi siamo ancora a Ciampino, aspettando di conoscere se potremo partecipare alla missione. Il capitano Pier Nicola Delogu sta tentando di farsi concedere l’autorizzazione necessaria, ma i tempi sono veramente ridotti. Ci guardiamo in faccia io, Fabrizio e Roberto e nelle nostre espressioni si coglie un pò di titubanza. Ce la sentiamo di affrontare questa piccola “avventura”? “Mi spiace per voi, ma l’autorizzazione è arrivata!”, scherza il capitano. Le sue parole ci investono e ci strappano definitivamente dal nostro stato di incertezza. Partiamo anche noi.

La cabina di pilotaggio del Falcon 50

Il comandante, Fabio Ferraro, mi autorizza a sistemarmi nella cabina di pilotaggio, nel piccolo sedile che si trova dietro le sue spalle. Accanto a lui c’è il vice comandante Giuseppe Traina e, di fronte a me, il tecnico di volo Stefano Terracciani. Più in là, nella parte centrale dell’aereo, là dove troverebbe sistemazione una eventuale barella, c’è l’assistente di volo Antonio Maddaloni. In fondo, verso la coda, i miei due compagni di viaggio si stanno allacciando le cinture.

Il tecnico di volo ha in mano un registro che riempie con delle annotazioni, mentre il comandante ed il vice parlano tra di loro, osservano gli strumenti e ascoltano le istruzioni che gli arrivano dalla radio. Anch’io guardo e davanti agli occhi mi si parano un numero indefinito di pulsanti, interruttori, piccoli monitor, contatori e leve. Non ho la minima idea del loro scopo, ma, di sicuro ce l’hanno questi due ragazzi (sono veramente molto giovani) che, quasi “incastrati” nelle loro postazioni, si stanno apprestando a far decollare il Falcon 50, un aereo di produzione francese. Entrambi, mi dicono dopo, hanno anche l'abilitazione alla guida del Falcon 900, il velivolo che viene utilizzato per il trasporto di Stato. Dopo una breve corsa, l’aereo ha preso a salire e i numeri, sull’altimetro, hanno iniziato a correre. “L’altezza è espressa in piedi”, mi dice il tecnico di volo, “se la si vuole calcolare in metri bisogna dividere per tre”. Viaggiamo ad una velocità di circa 800 km/h.

Il comandante mi informa che potremmo incontrare delle turbolenze; a Ciampino piove e il mal tempo, sembrerebbe accompagnarci fino in Abruzzo. Quando siamo in prossimità di Pescara, però, ed iniziamo a scendere, le nuvole sono sparite e il sole fa apparire il mare di un azzurro intensissimo. Le buone condizioni meteo consentono un atterraggio a vista. “Diciotto minuti di volo effettivo”, dice Traina. Arriviamo all’aeroporto di Pescara poco oltre le 14.30.

 

L'interno del Falcon 50 con il posto per la barella

Slaccio la cintura di sicurezza e mi alzo. L’ambulanza non è ancora arrivata così trovo il tempo per parlare con i piloti. “La maggior parte delle missioni sanitarie che effettuiamo riguardano i pazienti in attesa di trapianto”, racconta Ferraro, “ e, qualche volta, trasportiamo anche le équipe mediche che fanno gli espianti … li preleviamo in una certa città, li portiamo nel luogo dove c’è il donatore, aspettiamo che effettuino il loro lavoro e li riportiamo nel luogo di partenza, dove, l’organo o gli organi saranno utilizzati. Può capitare anche di trasportare solo organi: andiamo nel luogo che ci viene indicato, ci consegnano il contenitore e lo portiamo a destinazione … qualche volta il trapianto può avvenire anche all’estero, in Francia ad esempio. Negli ultimi anni, però, sempre più frequentemente, i trasporti si fanno in Italia. Probabilmente è aumentato il numero dei donatori. La cosa che dobbiamo notare, però, è che la direzione, nella maggior parte dei casi è Sud/Nord, il ricevente sta a Sud, ma il trapianto viene fatto al Nord.” Come nel caso di Giovanni, appunto".

Interrompiamo la conversazione: pare che l’ambulanza si stia avvicinando all’aereo. Mi affaccio alla porta e intravedo gli edifici di servizio. Mi incuriosisce una scritta blu, fatta a semicerchio composta da lettere che formano le parole “Aeroporto d’Abruzzo”. Non so perché, ma mi ricorda l’insegna di un hotel. Chissà se anche Giovanni l’ha notata quando è sceso dall’automezzo che lo trasportava e s’è avvicinato alla scaletta. Noi tre “ospiti”, ci sediamo per non intralciare l’assistente di volo che si appresta a far salire a bordo i due nuovi passeggeri: Giovanni, con la sua bombola d’ossigeno, quella piccola, ed il figlio, che porta una borsa non troppo grande, in cui, immagino, ci avranno infilato, frettolosamente, degli effetti personali. Si sistemano su due poltrone singole, poste una di fronte all’altra, mentre noi ci troviamo di lato. Non so come presentarmi, come interloquire, ma una cosa è certa, devo rompere questa situazione di imbarazzo in cui uno non sa chi è l’altro e a che titolo è seduto sullo stesso aereo. Le parole mi vengono fuori con naturalezza, e, dopo qualche minuto, siamo lì che conversiamo tranquillamente. Giovanni e il figlio sono molto disponibili e aperti con noi. Gli chiedo se vuole descrivermi il suo stato d’animo, in quel momento. “Quando ho avuto la notizia, non ho saputo controllare l’emozione. Potreste pensare alla paura, invece si tratta di un’altra cosa, forse è l’emozione … non paura … ho un po’ di preoccupazione, ma mi sento tranquillo … mi affido al Signore e ai medici”. “E gli altri della famiglia?”, “Sono felici e preoccupati, allo stesso tempo... stanno arrivando in macchina … ”. “Da quanto tempo era in lista d’attesa a Bologna?”, mi rivolgo al figlio, adesso “… saranno circa 20 giorni. Il suo problema ai polmoni risale a 13 anni fa circa, ma è soltanto di recente che le sue condizioni sono peggiorate in maniera tale da necessitare di un trapianto. Prima dell’estate è stato ricoverato d’urgenza per un problema insorto alle coronarie ed ha subito un’angioplastica; una volta risolta questa complicazione, il suo stato di salute è migliorato ed lo hanno subito inserito nella lista trapianti all’Ospedale di Bologna”. “S’aspettava d’essere chiamato così velocemente?”, è a Giovanni che faccio la domanda. “No, non me lo aspettavo. D’altra parte io ho 64 anni e mi hanno detto che il limite d’età per ottenere il trapianto sono i 65 anni. Avevo a disposizione soltanto altri dodici mesi”.

Continuiamo a discorrere con serenità, sembriamo un gruppo di amici seduto a parlare del più e del meno. Anche l’assistente di volo, quando arriva con il caffè per noi e l’acqua per Giovanni, accompagnati da un bel sorriso, contribuisce ad allentare la tensione. Ma non siamo in una situazione di normalità, siamo in volo su un aereo militare. Me ne accorgo dal rumore che, dopo il decollo, ci ha accompagnato insistentemente e da quello che vedo attraverso il finestrino: il tempo è cambiato, non c’è più il sole di Pescara, ma nebbia, nuvole e foschia. A Bologna atterriamo alle 15.40, circa. Il tecnico di volo chiede l’autorizzazione al comandante per aprire la porta e tirare giù la scaletta (è consuetudine adottare questo rituale). Vedo Giovanni e il figlio che si alzano e s’apprestano a scendere. Non so cosa dire per congedarmi, gli stringo la mano e gli deposito un bel bacio sulla guancia, come fosse un vecchio amico a ricevere il mio saluto. Poi, in un attimo, loro non ci sono più. Mi avvicino alla porta, come avevo fatto a Pescara e, stavolta, l’immagine che colgo è quella di uno dei sanitari dell’ambulanza, che si porterà via Giovanni. L’uomo, con una simpatica cadenza bolognese, saluta e ringrazia calorosamente tutto l’equipaggio. Passa

Il momento del passaggio del sig. Giovanni alla Croce Rossa per l'ultimo tratto fino all'ospedale

davvero pochissimo tempo e siamo di nuovo pronti per decollare, stavolta in direzione di Ciampino.

Il comandante mi autorizza, nuovamente, a raggiungerlo nella cabina.

Mentre attraverso il corridoio, penso che tutto l'equipaggio sia un pò più rilassato ed io mi sento un pò meno "in colpa", per questa intrusione nel posto più delicato e determinante del velivolo.

“Quello che è andato bene, in questo caso, soprattutto, è l’ambulanza, che era già presente.”  E’ la voce chiara e rassicurante del comandante. “Spesso, purtroppo, per l’urgenza, l’ammalato deve prendere un taxi o provvedere in altro modo … è soltanto facendo questi tipi di trasporto che ti rendi conto di quanta gente ci sia ad aver bisogno di un trapianto”.

Poi, si ricorda della domanda che gli stavo facendo prima, se ci fosse stato un cambiamento, in seguito a impieghi di questo tipo, nel rapporto che aveva con il suo lavoro. “Dall’esperienza acquisita, posso fare queste considerazioni”, mi dice, “Per chi entra in Accademia, il fascino iniziale, è determinato dalla aspirazione a poter utilizzare un velivolo ad alte prestazioni. Però, fondamentalmente, quello che accomuna un po’ tutti è la passione per il volo, insieme alla possibilità di sentirsi utili. Gli impegni che sta portando avanti l’Aeronautica Militare, sono i più disparati. Ci si può trovare di fronte situazioni anche emotivamente difficili, però, con la professionalità acquisita e distaccandosi un po’ dalle emozioni, si riesce ad ottenere il meglio. La soddisfazione che raccogliamo dal nostro lavoro è grandissima. Riceviamo tante lettere di ringraziamento, anche da parte dei bambini. Se mi capita di trasportarne uno, mi colpisce l’entusiasmo che manifesta nella situazione, per lui nuova, del volo; mi fa piacere farlo venire in cabina, mostrargli gli strumenti , spiegargli qualcosa. Ci tengo a fargli rimanere l’impressione di un’esperienza positiva. Posso ritenermi soddisfatto del lavoro che faccio. Se c’è una cosa che devo aggiungere è che non tutti sono a conoscenza di questo tipo di attività che svolgiamo.”

Il resto del viaggio lo trascorro dietro, in coda, ripassando, mentalmente, le immagini che mi sono scorse davanti agli occhi, le persone con cui ho parlato, le sensazioni che ho raccolto (riuscirò, mi chiedo, a "tradurre" tutto in parole?). Quando arriviamo a sorvolare Roma, irresistibilmente, ci ritroviamo tutti in piedi, attaccati al finestrino. La visione è splendida, naturalmente, ma stiamo per atterrare ed è necessario sedersi di nuovo ed allacciare le cinture.  Giungiamo a Ciampino, intorno alle 16.30. Uno dopo l'altro scendiamo la scaletta ed abbandoniamo l'aereo che torna, così, immobile e silenzioso, proprio come si era presentato al nostro sguardo questa mattina.

La missione è conclusa.

Ciampino 10 novembre 2004

Testo di Marilina M. Lanzetta

Foto di Fabrizio Lonis

Ringraziamenti:

Desidero ringraziare Giovanni ed il figlio, così aperti, gentili, disponibili.

Grazie a tutti gli uomini del 31° Stormo che abbiamo incontrato e che ho citato nel racconto.

Grazie, in particolare, al capitano Delogu: senza il suo impegno e la sua determinazione non saremmo mai saliti su quell'aereo.

 


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